Prima di fare "copia" e "incolla"

Quando decidi di copiare ed incollare i contenuti di questo blog, abbi almeno il buon senso di citarne la fonte.
Scrivere i contenuti di queste pagine è un lavoro molto impegnativo: c'è uno sforzo di memoria, di attenzione nello scrivere il dialetto in maniera precisa e un sacrificio di tempo. Tutto questo lo facciamo per non mandare perse tutte quelle "cusarelle" della nostra terra. Grazie per la collaborazione.

martedì 4 settembre 2012

La "staggione"

Tanti ricordi d’infanzia, quando veniva l’estate; già durante il lungo e freddo inverno sentivi  gli anziani far progetti per la prossima stagione calda.
Nel crepuscolo mattutino la sveglia a carica meccanica scandiva i suoi TIC TAC.
Le mosche più numerose di una legione romana d’altri tempi, ronzavano, ronzavano e andavano ad intrappolarsi attorno al gambo del lampadario a piatto della cucina. Si, perché il gambo veniva ricoperto da una carta appiccicosa che non lasciava scampo all’infame insetto che, dopo una lunga agonia, finiva per morire. Le cicale ci rintronavano il cervello con i il loro penoso ed atono canto, che acuiva la fiacca del lavoro manuale sotto il sole possente.
“A ‘uanne z’ara refà ru pagliare” e cioè “Quest’anno si deve rifare il pagliaio”. Si trattava di una rimessa costruita con paglia e canne legate con ferro filato e tanto ingegno. Il pagliaio era molto utile ai contadini che in genere vi custodivano il fieno per gli animali oppure, a volte, vi mettevano una gallina a chiocciare e a covare le uova che difendeva come un guerriero medievale, semplicemente a colpi di becco a chi si fosse sprovvedutamente avvicinato al nido: poi le uova si schiudevano e venivano fuori tenerissimi pulcini che se riuscivi a prenderli in mano sentivi battere il loro cuore a cento all’ora.
Ricordo la  pazienza e la tenacia dei contadini che spillavano secchi d’acqua dal pozzo per irrigare l’orto che con acqua e sole avrebbe consegnato loro splendidi, profumati e saporiti ortaggi da consumare durante la stagione calda. Prodotti della terra che venivano cucinati nella maniera più semplice e naturale e che propagavano i loro gustosi e invitanti aromi intorno alle case assolate protette da imposte semichiuse in faccia al solleone.
La sera, calato il sole, tornava un po’ di vitalità e ci si sedeva in cerchio sulle aie davanti casa con la luna a rischiare i visi. Si consumava una parca ma genuina cena e gli uomini tracannavano qualche bicchiere di ottimo e salutare vino rosso tenuto per tutto il giorno a rinfrescare nel secchio calato nel pozzo. Si ragionava di mietitura, trebbiatura, della prenotazione dell’asino che aiutava la gente di campagna nello svolgimento di queste mansioni. Poiché non tutti possedevano un asino - magari era morto di stenti o di vecchiaia - i buoni vicini se lo scambiavano amichevolmente e amorevolmente senza tornaconto. Le contrade, infatti, erano grandi famiglie dove ci si aiutava reciprocamente in tutti i lavori dei campi.
Nei “bivacchi” serali ci si metteva d’accordo su chi cominciasse per primo a mietere in maniera che l’asino, giorno per giorno, facesse il giro dei vari campi; il poverino doveva trasportare prima i covoni di frumento  (le manuocchie) dal campo alla casa e, in un secondo momento, doveva aiutare nella trebbiatura,  magari in una giornata in cui un alito di vento aiutava a separare i chicchi dalla paglia.
L’asino sarebbe servito anche per la vendemmia per trasportare l’uva nei barili (le piùnze); per l’aratura, quindi per la semina ed infine per il trasporto della legna per l’inverno lungo e freddo. Durante l’inverno, finalmente, l’asino avrebbe conosciuto un meritato periodo di riposo.
Le famiglie più facoltose, altro che asino: per i lavori si avvalevano di un cavallo! Addirittura i ricchi possidenti avevano già le macchine agricole.
Occorrevano molte braccia per portare avanti i faticosi lavori dell’estate al termine dei quali ci si ricreava mangiando la salsiccia che era stata custodita sotto la sugna proprio queste occasioni. Era una delle rare situazioni in cui ci si beava il palato e anche l’olfatto. Oggi di salumi ne abbiamo a iosa ma i loro veri sapori, purtroppo, si sono quasi irrimediabilmente perduti.

3 commenti:

  1. Questo e un racconto un po romanzesco che va durante il periodo delle Terre del Sacramento non certo della vita Campuasciana degli anni 50 allora esisteva tutt'altra realtà

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  2. Questo e un racconto un po romanzesco che va durante il periodo delle Terre del Sacramento non certo della vita Campuasciana degli anni 50 allora esisteva tutt'altra realtà

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  3. Caro "Ilrompiscatole", come premesso nella pagina iniziale di questo blog, qui sono riportate esperienze di VITA VISSUTA di persone che vivevano a Campobasso. La sua considerazione la trovo estremamente superficiale: pensi che mia madre, che ha scritto l'articolo, è nata negli anni 60' e queste cose le ha vissute di persona. Probabilmente lei, "Ilrompiscatole", abitava lontano dalla campagna e dal vivere contadino pertanto trovo fuori luogo il suo intervento così categorico e saccente.
    Da fotografo che gira di continuo alla ricerca di testimonianze della vita contadina, provo anche a darle un suggerimento: si metta in macchina e si sposti nelle campagne dei paesi molisani...le assicurò che troverà (per fortuna, secondo me) situazioni molto simili a quella descritta in questo che lei definisce "romanzo", nonostante siamo nel 2014!!!
    La saluto,

    Stefano Di Maria

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